Il blog di Luciana Coén

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a osteggiare qualsiasi forma di guerra…

tipo: lottare contro il cancro, combattere contro una malattia, ha lottato fino alla morte…

la malattia, come altri eventi della vita, la attraversano e non credo vadano combattuti ma vissuti nella loro intensità, positiva e negativa che sia. Continuare ad usare un linguaggio militaresco, come bene ha descritto Susan Sontag nel suo famoso libro, alimenta un atteggiamento combattivo e aggressivo che non facilita la convivenza con gli eventi, con sè stessi e con gli altri. Accogliere, condividere e accompagnare, magari fuori dal nostro corpo o dalla nostra vita, l’evento che ci può compromettere è forse un esercizio interessante e costruttivo da sperimentare e applicare.

Mi piace riportare quel che scrive Andrea “Floppy” Filippini, collega infermiere, nel suo libro “Diario di bordo del mio viaggio estremo, nel bene e nel male” in Afganistan, nei suoi ringraziamenti a

“tutti coloro che si impegnano

e che si impegneranno a dare il giusto peso alle parole,

per esempio usando strumento e non arma,

sfida o partita combattutissima e non guerra o battaglia,

sei molto sexy invece che bomba,

sei un coglione e non sei una pistola,

sei imprevedibilmente pericolosa e non una mina vagante;

estirpare la cultura della guerra

vuol dire escluderla dalla nostra vita.

Il Campo Minato non è un gioco, 

ma solo un luogo dove ci sono fottutissimi ordigni,

ideati, costruiti e venduti da persone,

anche se fatica a catalogarle come tali,

per deflagare o uccidere gente innocente, o gente non innocente,

anche dopo la guerra.”

 

andrea

Grazie Andrea.

Sforziamoci anche nel nostro linguaggio di essere meno aggressivi e meno militareschi…